Alberto Pimpinelli
(Independent Scholar)
1 January 2012


Inf. 1.37: “E ’l sol montava ’n sù con quelle stelle”

I versi di Inf. 1.37-40 pongono un interessante problema all'astronomo. Dicendo al lettore che il sole si trova con quelle stelle con cui già si trovò congiunto al momento della Creazione, Dante situa l'inizio del suo viaggio ultramondano in un contesto cosmologico preciso, in cui il suo viaggio intrapreso nel mezzo del cammin di nostra vita si riallaccia all'istante iniziale della vicenda umana.

Quali sono dunque quelle stelle? Dovremmo poterlo indovinare ragionando come segue. La tradizione a cui Dante si collega vuole che il sole sia stato creato all'equinozio di Primavera: esso si trovava dunque all'inizio della costellazione—e del segno, che in quel primo istante coincidevano—dell'Ariete. Al tempo di Dante, il fenomeno che noi chiamiamo precessione degli equinozi, e che il Poeta e i suoi contemporanei chiamavano moto dell'ottava sfera, aveva già separato costellazioni e segni, di modo che all'equinozio il sole non si sarebbe più trovato in compagnia delle stelle dell'Ariete.

Sappiamo dal Convivio 2.5 che Dante attribuisce al movimento da occidente ad oriente della sfera delle stelle fisse la velocità di un grado ogni cento anni. Se addizioniamo le informazioni che Dante stesso, per bocca del diavolo Malacoda prima (Inf. 21.112-114), e del padre Adamo poi (Par. 26.118-123), ci fornisce, scopriamo che il mondo fu creato 1266+5232=6498 anni prima del suo Viaggio; ne segue che il punto d'inizio dalla costellazione e quello del segno dell'Ariete si dovevano trovare ai suoi tempi separati di circa 6500/100=65 gradi sull'eclittica, di modo che il sole si sarebbe trovato in compagnia di quelle stelle all'incirca due mesi dopo l'equinozio, ossia attorno al 15 maggio, quando il Sole si trova nella costellazione del Toro.

Ma la dichiarazione di Malacoda, che situa il viaggio all'anniversario della Passione, rende questa conclusione impossibile. Dobbiamo quindi ritenere che Dante abbia solo usato un'elaborata perifrasi per indicare genericamente la Primavera? Forse no.

Secondo Adamo, Creazione e Crocifissione sono separate da 5232 anni. Poiché Cristo fu crocifisso a circa 33 anni, Creazione e Incarnazione sono separate da 5199 anni, come Eusebio insegna (si veda A.M. Mosshammer, The Easter Computus and the Origin of the Christian Era, Oxford Univ. Press 2008).
 
Il numero 5200 è interessante per due motivi: è divisibile per 1300, e lo è un numero pari di volte. Dante immagina il Viaggio 1300 anni dopo l'Annunciazione, e  6500 è la metà di 13000.

Se ammettiamo che, come già sostenuto da Hollander (“The World-Historical Meaning of Inferno 1.1 as Confirmed by Paradiso 9.40,” EBDSA), quel mezzo del cammin che apre la Commedia sia la metà di un Grande Anno di 13000 anni solari, si può immaginare l'esistenza di 10 “periodi” di 1300 anni ciascuna. Leggiamo ora la Nuova Cronica di Giovanni Villani (Lib. 2 Cap.13):  E la cagione perché oggi sono quelle terre della marina quasi disabitate e inferme, e eziandio Roma peggiorata, dicono gli grandi maestri di stronomia che ciò è per lo moto dell'ottava spera del cielo, che in ogni C anni si muta uno grado verso il polo di settentrione, cioè tramontana, e così farà infino a XV gradi in MD anni, e poi tornerà adietro per simile modo, se fia piacere a Dio che 'l mondo duri tanto.

Villani si riferisce qui a una particolare teoria sul movimento dell'ottava sfera, nota come la teoria dell'accesso e del recesso. Oggi noi sappiamo che la precessione degli equinozi è causata dal moto dell'asse terrestre durante la rotazione della terra, e che lo spostamento del punto equinoziale che ne consegue avviene sempre nello stesso senso rispetto alle costellazioni. Ma all'epoca di Dante, di questo spostamento se ne era osservata solo una frazione; e secondo le osservazioni, la velocità dell'ottava spera sembrava variare nel tempo. Da qui venne l'idea che il moto in questione potesse in realtà essere la composizione di un moto continuo e di uno oscillante (detto di accesso e recesso.) O ancora, che il punto equinoziale non facesse che oscillare, avanti e indietro. Il Villani sembra sottoscrivere a questa opinione, e descrivere un'oscillazione di 15 gradi in 1500 anni.

Non è facile dire da dove il Villani derivi i suoi 15 gradi, o i 1500 anni. Si può però notare che Macrobio nel Commento al sogno di Scipione parla di un Grande Anno di 15000 anni solari (Lib. II, Ch. 11). Se esista una relazione tra quest'ultimo e i 1500 anni del Villani, non è chiaro. Ma supponiamo che il Villani associasse una precessione oscillante ad un Grande Anno di 15000 anni.

Dante conosce la stima di Eusebio che valuta a 5199 anni il periodo tra Adamo e Cristo. Ecco che un'oscillazione di 13 gradi ogni 1300 anni, avrebbe riportato il sole all'equinozio all'epoca della nascita del Salvatore, e avrebbe situato il Viaggio proprio nel mezzo del cammin di un Grande Anno di 13000 anni. Difatti, partiti in coincidenza, il segno dell'Ariete e la costellazione dello stesso nome si ritroverebbero a coincidere ad ogni oscillazione che avvenga dopo un multiplo pari di 1300 anni. La Creazione e l'Annunciazione, a 5200 anni di distanza, sarebbero dunque avvenute all'equinozio, con il sole che occupava la stessa posizione sull'eclittica.

Se seguiamo questa logica, all'equinozio del 1300 il sole si troverebbe separato dalla distanza massima—13 gradi—da quelle stelle con cui si trovò congiunto al momento della Creazione. Però, una fortuita coincidenza—che probabilmente non doveva apparire tale agli occhi di un uomo del XIV secolo—dovuta della deriva del calendario Giuliano, fa sì che l'equinozio di primavera cadesse nel '300 attorno al 12-13 marzo, cosicché il sole si veniva a trovare in compagnia delle stelle fatidiche precisamente al 25 di marzo, giorno anniversario della Creazione, dell'Annunciazione e della  Crocifissione: e questa è proprio  la data del viaggio dantesco, Malacoda dixit.

Ma c'è di più. Dante potrebbe persino aver fatto menzione della precessione oscillante nella Commedia. Si confronti il seguito del brano succitato della Cronica:  e per la detta mutazione del cielo è mutata la qualità della terra e dell'aria, e dov'era abitata e sana è oggi disabitata e inferma, et e converso, con le terzine di Par. 27.144-148: raggeran sì questi cerchi superni / che la fortuna che tanto s'aspetta / le poppe volgerà u' son le prore, / sì che la classe correrà diretta; /  e vero frutto verrà dopo il fiore

Come non pensare che il “fortunale/fortunato evento” che invertirà la rotta della flotta (delle stelle?) e che è legato al “raggiare” delle sfere celesti, sia proprio l'inversione dell'oscillazione dell'ottava sfera, che riporterà un mondo “infermo” alla condizione primitiva in cui il fiore produce il vero frutto? Tanto più che “poppa” e “prora”—della  Nave Argo—sono delle costellazioni, e che le terzine sono pronunciate da Beatrice nel cielo Empireo, che determina il moto dell'ottava sfera.

A rinforzare questa interpretazione, si noti che il raggeran iniziale del verso 144 è una correzione—introdotta dal Petrocchi—di ruggeran, versione che si trova nei manoscritti, e che fu trovata normalissima dai commentatori per più di cinque secoli. Questa correzione, che tra l'altro viola la regola della lectio difficilior, dovette sembrare necessaria per rendere più comprensibile il testo.

Rugit è però un termine comune a molti luoghi biblici in cui si evoca l'ira divina—a titolo d'esempio, basti Gioele 3:16: Dominus de Sion rugiet, et de Hierusalem dabit vocem suam, et movebuntur Coeli et Terra.

Inoltre, e in maniera ancora più pertinente al testo dantesco, si osservi che Cicerone e il suo commentatore Macrobio, parlando dell'armonia delle sfere, riferiscono che il suono delle sfere celesti è così intenso e continuo che gli uomini ne sono assordati, proprio come gli abitanti della regione limitrofa a certe cataratte del Nilo che non fanno più caso al boato che ne proviene. Molti traduttori moderni utilizzano “ruggito” per tradurre l'espressione ciceroniana relativa al suono assordante. E Boccaccio, nel suo Commento alla Prima Cantica della Commedia (Lib.2 Cap.7) dice testualmente: Ed acciò che voi intendiate che vuole dire questo canto del mondo, dovete sapere che fu oppinione di Pittagora e di altri filosafi che ciascun cielo di questi otto, cioè l'ottava spera e i sette de' sette pianeti, volgendosi in su li loro cardini, facessero alcuno ruggire, qual più aguto e qual più grave, sì per divino artificio di debiti tempi misurati che, insieme concordando, facevano una soavissima melodia, la quale qui intende Macrobio per lo concento; della qual noi, per l'udirla continuo, non ci curiamo né vi riguardiamo.

Non solo correggere ruggeran in raggeran parrebbe a questo punto inutile e scorretto, ma il verbo dantesco, riferendosi chiaramente al fragore delle sfere celesti, descriverebbe perfettamente l'inversione di marcia, che separa le due fasi dell'oscillazione precessionale, l'accesso e il recesso.

L'ipotesi che Dante si ispiri alla teoria dell'accesso e del recesso, insieme al restituito ruggeran sì questi cerchi superni, farebbe allora di Par. 27.144-148 una potentissima immagine dell'inversione di rotta dell'ottava sfera, e legherebbe in maniera naturale queste terzine alle numerose profezie di mutamento dei tempi che Dante associava agli anni attorno al 1300, 6500esimo anniversario della Creazione, e punto di mezzo dei 13 millenni del cammino dell'umanità.