Claudia Di Fonzo
(Università di Firenze)
January 1999


Ancora sul "framework" dantesco


In occasione del suo primo corso universitario (1873-74) dal titolo La materia e la forma della Divina Commedia ("Quaderni degli Studi danteschi" 12), Pio Rajna notava come l'Alighieri fosse arrivato alla concezione distinta dei tre regni non per aver aggiunto particolari al baratro di Satana, ma per aver informato a un concetto diverso il Purgatorio, facendone una specie di scala al Paradiso.

Se la distinzione tra Inferno e Paradiso come pure l'individuazione di un terzo regno intermedio esisteva già tra i pagani(1), e se la nascita del purgatorium così definito può collocarsi, come è stato dimostrato da Le Goff, nell'ambito di quella letteratura di visione detta "odissea monastica" (A. F. Ozanam), pur considerando la pregressa speculazione teologica sviluppatasi a partire dalle Sacre Scritture intorno alla questione della purgazione delle anime dopo la morte -- se questa pena fosse metaforica o reale, eterna o meno e in quale rapporto fosse con il giudizio universale (A. Graf), teoresi che ebbe Agostino come principale riferimento, ampio spazio nella discussione del tredicesimo secolo oltre che codificazioni istituzionali (Concilio di Lione del 1274) -- fu tuttavia Dante, poeta traduttore latu sensu, a informare la struttura del "fuori del mondo" -- per usare una formulazione coniata da Segre -- alla nuova concezione dello spazio collocando il Purgatorio non più sotterra ma strutturandolo concretamente, nella fictio poetica, quale scala (escalina) al Paradiso al cui apice (som) si trova l' hortus deliciarum. Credo, dunque, si possa avvalorare la purtuttavia superata posizione tradizionale della critica dantesca, precisando che, solo in tal senso e per il peso specifico che tale "qualità" assume entro la coerenza del framework dantesco, il locus purgatorii è una novità rispetto alle precedenti codificazioni letterarie.

Le montagne che appaiono nella visione di Wettino, o in quella di Carlo il Grosso o ancora in quella di Turchillo, conservano l'indistinzione o non si caratterizzano affatto come montagne purgatoriali.

Dante pare voglia esprimere le acquisizioni teologiche del suo tempo in una struttura poetica che le rappresenti e lo fa sottraendo il secondo regno agli inferi, facendone un luogo di passaggio rivolto al cielo: il Purgatorio viene esemplato a una montagna assimilata, a sua volta, entro il sistema Commedia, all'immagine della scala, non quella dei contemplanti, che avrà caratteristiche sue proprie -- e mi riferisco al movimento di ascesa e discesa --, ma quella che nel prologo alla regola di Benedetto ha chiaro carattere purificatorio.

A ben vedere preciso parallelo della montagna dantesca, osserva Alison Morgan(2), è la montagna del Purgatorio che appare nella prima redazione del Purgatorio di S. Patrizio, composta da Jocelin tra il 1170 e il 1185, e nell'ultima parte della redazione elaborata dal cistercense Henricus Saltereiensis che racconta la discesa del cavaliere Owain nella fessura aperta dal vescovo irlandese Patrizio.(3)
L'iconografia che, in Italia, alla leggenda si riferisce mostra, in effetti, un promontorio nella cui cavità è situato il Purgatorio di Patrizio. Mi riferisco all'affresco del 1346 riscoperto nel 1975 nel coro del Monastero di S. Francesco (Borgo Nuovo- Todi), attribuito a Iacopo di Mino del Pellicciaio. L'affresco, che occupa l'intera parete, mostra l'uscita delle anime dal Purgatorio: una montagna cava nella quale si scorgono sette caverne, sulla cui cima c'è un pozzo, il monaco irlandese e il cavaliere Nicolaus; il passaggio al Paradiso avviene per tramite della Vergine Maria e di S. Filippo Benizi.

Occorre sottolineare, ancora una volta, come a questo Purgatorio, posto nell'antro di una montagna, si scenda per una fessura, divenuta pozzo nella Legenda aurea, che il monaco stesso produsse miracolosamente al fine di convertire i pagani a Cristo. Diversamente Dante, trasforma la sua montagna in una scala (escalina: Purg. XXVI, 146), sulla quale il movimento è ascensionale, una sorta di zigurrat al quale si accede attraverso una porta alla quale si giunge percorrendo una scaletta (Purg. XXI, 48) con un bel gioco di reduplicazione del motivo.

Quanto la fessura, pozzo o Purgatorio di Patrizio conservi ancora le caratteristiche di baratro si evince anche dall'apocrifa Charta S. Patricii nella quale si stabilisce un rapporto tra il luogo indicato a Patrizio e il culto di S. Michele arcangelo allorché "quadam autem nocte", essendo Patrizio assorto nel sonno, apparve a lui Gesù Cristo e gli disse: "Patrici serve meus, scias me elegisse locum istum ad honorem nominis mei, et ut hic honoranter invocent adiutorium archangeli mei Michaelis. Et hoc tibi signum et fratribus tuis, quatenus et ipsi credant: brachium tuum sinistrum arescet, donec quae vidisti annuntiaveris fratribus qui in cella sunt inferiori, et denuo hic redieris".
Ancor prima delle osservazioni di Thomas Wright circa il fatto che "Dante evidently copies incidents from the vision of Owain",(4) menzionarono la leggenda del vescovo irlandese, per illustrare il poema dantesco, e proprio nel prologo al Purgatorio, due commentatori antichi: Alberico da Rosciate, autore tra l'altro delle Quaestiones statutorum e dei Commentaria al Digesto e al Codice, e Benvenuto da Imola (Cfr. Dartmouth Dante Project).

Ci soffermiamo sul primo dei due, Alberico (1290 -1360), il commento latino del quale, tuttora inedito, tradito da un ristretto numero di codici -- Bodleian Canon. Misc. 449, Parigino cod. ital. 538, , Vat. Barb. lat. 4037, Parig. Codd. Lat. 8701, Laurenziano Pl. XXVI, sin 2, Parigino it. 79 e il codice Grumelli dal quale citiamo --, è giunto a noi in duplice redazione, stante le recentissime acquisizioni di M. Petoletti: una più e una meno fedele traduzione latina del commento di Jacopo della Lana (1324-28).

In una delle sue interessanti interpolazioni e, come dicevamo poc'anzi, nel proemio al Purgatorio, Alberico fornisce, da buon giurista, riferimenti atti a stabilire la qualità del luogo e delle pene di Purgatorio: "an locus purgatorii de quo tractat auctor sit locus materiallis vide in Decretis, 25 distinctione, capitulo qualis et capitulis sequentibus et qualia peccata ibi purgentur vide ibi in glosa et bene per archidiaconum."

Indica alcuni passi della Sacra Scrittura che trattano di questo Purgatorio: la prima lettera ai Corinzi 3, 13-15 e il salmo 65 Jubilate Deo, v. 12 transivimus per ignem et aquam et deduxisti (iuxta LXX: eduxisti) nos in refrigerium.

Cita i Dialoghi di Gregorio Magno ove si dice che in questo Purgatorio si purgano le colpe veniali. Da ultimo riporta la leggenda di Patrizio come la trova "in Legendis sanctorum in festo sancti Patricii sic scriptum". Quest'ultima considerazione di Alberico non risolve il problema complesso della penetrazione della leggenda in Italia in relazione a Dante: la leggenda circolò in Europa in prosa e in versi (Maria di Francia) e in diverse lingue, oltre che in diverse redazioni.

Comunque sia, dopo Dante, l'assimilazione è compiuta e nell'immaginario collettivo la distinzione qualitativa è ormai codificata: all'Inferno si scende, al Purgatorio si sale, al Paradiso si sale e si scende nello spazio senza spazio, circolare e intero su quella scala 'u sanza risalir nessun discende fino in su l'ultima sfera, dove il desiderio dei santi s'adempie, per il fatto che qui è il fine d'ogni disiderio, qui è Idio non circoscritto "però che non è in loco e non s'impola, cioè non è in cielo come l'uomo è in una casa, et dice [l'autore] che questa scala d'oro che si mostra in questa septima spera passa infino sopra l'ultima spera et che questa è quella spera che Jacob patriarcha in visione vide, et per la quale salivano et scendevano li angeli". (Ottimo commento, chiosa a Par. XXII, 61: Barb. Lat. 4103, p. 146 b).

Anche la selva oscura nella quale Dante si trovò in dimidio dierum (Isaia 38, 10), nel mezzo del cammin di sua vita, partecipa di questa struttura: la situazione di peccato riproduce un Inferno come la selva una valle, "the ruined version of Eden"(5) fossa della distruzione (Isaia 38, 19) nella quale la lupa fa ruinare Dante in basso loco (Inf. I, 61). A tal proposito rimando al recente lavoro di Romano Manescalchi.(6)

L'evoluzione delle strutture dell'aldilà appare assimilata nel primo poema di imitazione dantesca capostipite del "Ciclo dei viaggiatori" che, pur presentando analogie con la leggenda di Patrizio, parla inequivocabilmente di una "discesa" all'Inferno, quella di Ugo d'Alvernia. Il romanzo, prodotto di quella letteratura franco-italiana che il Formisano definisce "terra di nessuno" e capitolo importante della fortuna della chanson de geste, conobbe diverse redazioni, oggi tutte accessibili, tra le quali la più completa, conservata a Padova, è in lasse monorime di decasillabi frammiste ad alessandrini.

Anche nel Paradiso, Dante si fa ricettore poietico della tradizione allorché propone musica e canto dolcissimi, "sonitum ineffabilis laetitiae" (Visione di Fursa) quali elementi caratterizzanti, al cui piacere posporre gli occhi belli.


1. C. Labitte, "La Divine Comédie avant Dante," Revue des Deux Mondes, IV Série, 31 (1842), 704-742.
2. Morgan Alison, Dante and the Medieval Other World (Cambridge: Cambridge University Press, 1990), 159.
3. Cfr. Robert Easting, St. Patrick's Purgatory: two versions of Owayne Miles and the Vision of William of Stranton, together with the long text of the Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii (Oxford: Early English Text Society, 1991).
4. Thomas Wright, St. Patrick's Purgatory; an essay on the legends of Purgatory, Hell, and Paradise, current during the middle ages (London: John Russell Smith, 1844), 122.
5. Robert Hollander, Allegory in Dante's "Commedia" (Princeton: Princeton University Press, 1969), 200.
6. Romano Manescalchi, Il prologo della "Divina Commedia" (Torino: Tirrenia, 1998), 93-99.