Lodovico Cardellino
(Independent scholar, Aosta, Italy)
10 January 2006


"Dischiuso" in Paradiso 7.102 e 14.138: ha il senso usuale di "aperto" o "espresso", non di "escluso"

"Dischiudere" ha il significato proprio di "aprire", da cui derivano altri significati affini, in senso proprio e in senso figurato, come "allargare", "permettere", "dissigillare", "emettere", "far scaturire", "far nascere", "mostrare", "manifestare", "portare alla luce", e infine, buon ultimo, "escludere", che il "Battaglia" [1] fa derivare dal latino dis-claudere ( discludere , che peraltro significa "separare", "dividere", poi anche "impedire", ma non "escludere") e di cui cita come esempi solo due versi di Dante, entrambi di difficile interpretazione.

Il primo, "da poter sodisfar per sé dischiuso" ( Par 7 . 102), fa parte di un passo lungo e complesso, di cui Beatrice afferma che è comprensibile solo a chi è adulto nella fiamma d'amore (vv. 58-60) e "ch'a questo segno / molto si mira e poco si discerne" (vv. 61-62). Precisato che per rimediare al peccato d'Adamo ci sono solo due possibilità, "o che Dio solo per sua cortesia / dimesso avesse, o che l'uom per sé isso / avesse sodisfatto a sua follia" (vv. 91-93), Beatrice invita Dante a considerare bene l'abisso dell'eterno consiglio (vv. 94-96), che è sempre la fiamma d'amore in cui bisogna essere adulti, e a fare ben attenzione al suo discorso; ai vv. 97-102 assicura che "non potea l'omo nei termini suoi / mai sodisfar", ne spiega brevemente il motivo in una causale implicita e conclude che "questa è la cagion per che l'om fue / da poter sodisfar per sé dischiuso". Questa conclusione è interpretata in genere come una banale ripetizione del primo enunciato, riproposta come conseguenza della causale implicita, che tuttavia sintatticamente serve solo a giustificare l'asserzione precedente; accettata questa possiamo omettere la causale e il discorso diventerebbe: "non potea l'uomo ne' termini suoi / mai sodisfar (…) "e questa è la cagion per che l'uom fue / da poter sodisfar per sé dischiuso", che evidentemente impone alla seconda frase un senso diverso; inoltre la forma stessa di questa frase suggerisce un senso nuovo, introducendo il passivo del verbo, assente nel primo enunciato: "fu dischiuso"… da chi? Fuor di contesto "per sé" potrebbe significare "da se stesso", ripetendo quanto precisato ai vv. 37-39 ("ma per sé stessa fu ella sbandita"), come sembra intendere Johannis de Serravalle ( et ista est ratio, quare homo fuit a posse satisfacere a se exclusus ); ma nel contesto intesa così la frase non avrebbe nessun senso logico. Del resto, Beatrice sta spiegando il motivo della scelta divina dell'incarnazione per la nostra redenzione (vv. 56-57) e presumibilmente rinvia ad una azione divina; infatti alla fine risulta che Dio ha dato se stesso "per far l'uom sufficiente a rilevarsi".

Dunque l'uomo è stato "aperto" ("dischiuso") "a" poter soddisfare per sé, mentre "ne' termini suoi", senza un'apertura da parte di Dio, non avrebbe potuto. Tale senso è riconoscibile solo facendo molta attenzione al discorso di Beatrice e tenendo ben presente l'abisso dell'amore divino, che va oltre ogni logica e oltre il dilemma apparente proposto all'inizio. Resta l'inconveniente che tale senso non si adatta alla lezione "dischiuso da poter", accolta da tutte le edizioni perché presente in quasi tutti i codici, mentre la lezione " dischiuso a poter", che consente questa interpretazione, è documentata dal solo "vat"; ma "vat" è il celebre codice Vaticano latino 3199, "tra i più conosciuti testimoni del poema, sia per il tradizionale interesse rivolto alle sue lezioni, sia perché identificato con l'esemplare che il Boccaccio inviò in dono al Petrarca tra l'estate del 1351 e il maggio del 1353" [2]. Resterebbe da chiedersi perché, data l'importanza di "vat", la lezione non è stata seguita da altri codici né considerata dai commenti; ma la risposta è data dallo stesso testo, che insiste sulla propria difficoltà di comprensione. Io ne posso portare la mia piccola testimonianza, poiché studiando per anni a tempo pieno i primi canti del Paradiso [3] e in particolare proprio questo passo [4], non me ne ero accorto; ora, nell'analisi dei canti di Cacciaguida, non mi ha convinto il senso di "escluso" dato a "dischiuso" in Par . 14.138, e ho voluto riesaminare anche quello che prima avevo accettato nella sua interpretazione tradizionale.

Anche Par . 14.127-139 è un passo complesso, da sempre discusso e variamente interpretato in vari punti; i commentatori sono quasi unanimi nel tradurre "dischiuso" al v. 138 con "escluso", senza darne spiegazioni. Secondo Sapegno: " è vero che lo spettacolo e i canti del cielo di Marte superano in dolcezza ogni altra cosa veduta o udita nelle sfere precedenti; ma con tale affermazione non si viene ad escludere la divina bellezza (…) che certamente in quel luogo si è fatta anch'essa piú pura ed alta": escludere da cosa? "Dall'essere maggiore di ogni altro", precisa Ernesto Trucchi. Anche Mattalia traduce "escluso", ma poi corregge: " non c'è vera esclusione, poiché è issofatto sottinteso che la bellezza di Beatrice si fa (…) più pura e luminosa". Così Chimenz: "non ho escluso (…) che il piacer santo (…) sarebbe stato certamente maggiore". Sono tutte forzature arbitrarie e ingiustificate, suggerite dal pregiudizio che "dischiuso" significhi "escluso".

Ma Dante afferma di non aver mai provato tanto piacere come ora ascoltando i canti dei beati di questo cielo, poi, ricordando che salendo di cielo in cielo tutto gli appare più bello e che in questo cielo non ha ancora guardato gli occhi di Beatrice, dimostra di aver detto la verità e che questa non fu "troppo osa", "ché 'l piacer santo non è qui dischiuso"; poiché la verità della affermazione consegue dalle due premesse dei vv. 133-135, la causale successiva serve solo a scusare dall'accusa che essa fosse troppo osa: è vero ciò che ho detto, di aver posposto gli occhi di Beatrice, ma l'averlo detto non è troppo presuntuoso perché il piacere di quegli occhi "non è qui dischiuso"; è evidente che ciò significa che "non è considerato", non che "non è escluso": Dante non l'ha trattato, non ha "aperto" il piacer santo a questo confronto, perché in questo cielo non l'ha ancora provato e nel precedente esso era inferiore.

Ho trovato tale senso suggerito senza commento da Torquanto Tasso [5], poi da Brunone Bianchi: "non mi si è in questo cielo per anche aperto il piacer santo degli occhi di Beatrice". Pompeo Venturi intende che Dante non l'ha spiegato, cioè non ne ha parlato. Antonio Cesari spiega (nelle parole di Scartazzini che lo cita): "il piacer santo non è quì dischiuso {v. 138}; cioè, non ho parlato quì del suddetto piacere, perchè era sottinteso nell'usato crescere di bellezza a ogni grado". Anche per Steiner il piacer santo "non è stato ancora espresso". Per Sermonti "non s'è fatta espressamente parola del fascino santo di quegli occhi". Di Salvo lo traduce con "escluso" ma poi lo spiega come "tenuto fuori dal mio discorso". De Sanctis lo precisa in riferimento al poetare di Dante; "non è ancora descritto. Il «piacer santo» degli occhi di Beatrice, sarà infatti espresso nel c. 18 (cf c. 18.14, segg.)". In realtà Dante già in Par . 15. 32-36 guarderà gli occhi di Beatrice e dirà di rimanere stupito della loro accresciuta bellezza, ma proverà a descriverli solo in Par . 18. 7-19, quasi a conclusione dell'episodio di Cacciaguida e del cielo di Marte di cui qui siamo quasi all'inizio. Questo richiamo proposto da De Sanctis ha un suo fascino, ma non mi pare adatto a spiegare il termine "dischiuso" in questi versi: qui non è importante che Dante non abbia "descritto" gli occhi di Beatrice, bensì che non ne abbia parlato, che non si sia riferito ad essi.

Secondo Giacomo Poletto invece "s'ingannano a partito il Bianchi, il Blanc ed altri con loro, che seguendo il Daniello e il Volpi, spiegano il dischiudere per aprire, discoprire, dove per converso s'ha affatto da intendere (altrimenti senso non si cava) per escludere (cf. Par . 7.12)". Giuseppe Campi ricorda che "il Parenti propugnò l'intendimento del Lomb., dimostrando che di dischiuso per escluso non mancano esempj del buon secolo anche in prosa; che così sposero anche il Landino ed il Vellutello; e che prima di loro Benvenuto aveva spiegato dischiuso per exclusum. Veggano i più curiosi la lunga Nota del lodato Parenti, ch'io posi per disteso sotto questi ultimi versi nella Padovana del 1822". Eppure non ha senso "non escludere" un piacere che non esiste ancora.

Qualcuno cita a conferma del senso di "escludere" anche Conv . 3.3. 12 ("per ischiudere ogni falsa oppinione da me"), dove peraltro il verbo è "ischiudere", forma prostettica per "schiudere", dal latino excludere , e ha piuttosto il senso di "allontanare", "respingere", come in latino e come trovo tradotto in inglese (to dismiss) [6], mentre Pézard lo rende come "escludere" (forclore).

Le altre occorrenze nella Commedia del verbo "dischiudere", tutte in rima e, tranne una, al participio passato, hanno significati affini al senso figurato di "aprire": in Par . 24.100 "mostra" ("dischiude"), in Purg . 33.132 "espressa"; in Purg. 19.70 "uscito (all'aperto)" ha senso intransitivo, che secondo Salsano avrebbe anche in Purg. 31.9, di solito inteso invece in senso passivo ("emessa").

 


[1] «Grande Dizionario Battaglia della lingua italiana» (ed. UTET Torino); stessi risultati per il poema in F. Salsano, "dischiudere", Enciclopedia Dantesca , II, 484.

[2] Società Dantesca Italiana, Dante Alighieri, La Commedia , a cura di G. Petrocchi, Milano 1966-1967 (poi Firenze 1994), I, 89.

[3] L. Cardellino, La Commedia come ermeneutica biblica (I primi 14 canti del Paradiso) (Bornato, 2003).

[4] Già trattato anche in L. Cardellino, "Occhio per occhio, guancia per guancia", Bibbia e Oriente 184 (1995), 95-126.

[5] La Divina Commedia di Dante Alighieri postillata da Torquato Tasso , a cura di Giovanni Rosini. Pisa: Co' Caratteri di F. Didot, 1830; Postille alla Divina Commedia , edite sull'autografo della R. Biblioteca Angelica da Enrico Celani, con prefazione di Tommaso Casini. Città di Castello: Lapi, 1895, riportato da Dartmouth Dante Project.

[6] http://dante.ilt.columbia.edu/books/convivi/convivio3 (Lansing translation; from Digital Dante Project).