Nicola Fosca
(unaffiliated scholar, Turin)
27 September, 2003


INFERNO XIII.99: "... COME GRAN DI SPELTA".

Nel girone infernale dei suicidi, Pier della Vigna, iniziando a rispondere alla domanda di Virgilio sulla formazione delle anime-piante, precisa che l'anima del suicida, dopo la sentenza di Minosse, è là scaraventata per poi germogliare come gran di spelta. È, questo della spelta, un particolare irrilevante? La critica secolare non si è molto soffermata su di esso: la chiosa standard allude alla facilità con cui la graminacea della spelta attecchisce e cresce (anche in un terreno poco favorevole). Nel commento di Casini-Barbi, ad esempio, viene richiamata la glossa del Boccaccio ("una biada, la qual gittata in buona terra cestisce molto, e perciò ad essa somiglia il germogliare di queste misere piante"), e poi si aggiunge: "Ma sarà piuttosto da ricordare che la spelta germoglia anche in terreni magri, molto piú facilmente che il grano comune; il che spiega meglio che faccia presa e accestisca dovunque la fortuna la balestri, come qui le anime". Non sono pochi gli studiosi che rinviano alla "necessità di rima", mentre, fra i commentatori antichi, va segnalato il tentativo di Guido da Pisa di porre in correlazione la presenza della spelta con il genere di peccato punito nella selva del girone: "Spelta, secundum naturales, dum seminatur multotiens convertitur in frumentum, et sic a sua propria et pristina qualitate degenerat. Similiter homines desperati, dum vita sibi metipsis auferunt, a propria eorum natura sive qualitate degenerare videntur. Ideo in Inferno seminati, non homines sed silvestres arbores oriuntur. Sed tunc queritur, cum spelta seminatur sive transformatur in melius, quare homo, cum sit animal rationale secundum Philosophum, et secundum Augustinum dignissima creaturarum, quare potius transformatur in peius. Videtur enim, secundum istam comparationem, quod deberet in melius transformari. Respondeo: In damnatis enim non est beata sed damnata perfectio: ideo dum transformantur, non in melius sed in peius transformari dicuntur. In Inferno enim, secundum Iob, nullus est ordo, sed sempiternus horror inhabitat".

Nel prosieguo del discorso, Pier della Vigna informa i viatori che il suicida non si ricongiungerà, dopo il Giudizio, al proprio corpo, il quale resterà appeso al prun de l'ombra sua molesta (Inf. XIII.108). Un orribile bosco d'impiccati, dunque; ed una teoria che, data la palese eterodossia, mise subito in difficoltà i primi commentatori. Questa immagine impressionante non può non richiamare quella di Giuda (morto suicida) impiccato, che, in molte raffigurazioni artistiche medievali, soprattutto scultorie, appare non solo appeso ad un albero, ma anche circondato da mostri più o meno simili alle Arpie dantesche. In una lettera a Riccardo conte di Caserta, Federico II presenta Piero proprio come traditore della divina maestà imperiale, cioè come un Giuda. L'esistenza infernale dei "disperati" come alberi, dopo il Giudizio, scimmiotta Cristo come viene simbolizzato, nell'arte cristiana, dall'Albero della Croce: il poeta pone in radicale contrasto, quindi, l'orgoglioso ed egoistico gesto suicida con la volontaria sofferenza subita da Cristo per la salvezza dell'umanità. I suicidi, scrive R. Hollander, "can be seen here as being forced to enact eternally a cruel and perverse imitation of the form of Christ's sacrifice or more properly, of Judas' suicide, itself a perverse prefiguration of the Crucifixion" (Allegory in Dante's 'Comedy', Princeton University Press, 1969, p. 130). E aggiunge A.K. Cassell (che discute ampiamente le similarità tra Giuda e Piero): "In the symbolism of Christianity which nourished the Poet, the soul's metamorphosis into a thornbush alludes inevitably to the Crown of Thorns and to the Passion. We must see Dante's image in its obvious and blatant figural reversal: a Man crowned with thorns inverted as a thornbush crowned with a human body" (Dante's Fearful Art of Justice, University of Toronto Press, 1984, p. 34).

L'evento basilare della Passione sale così in primo piano: il suicidio, del resto, è esattamente l'opposto del sacrificio di Cristo, il quale "tradidit semetipsum pro nobis oblationem et hostiam Deo" (Ephes. 5.2). Ora, si sa che la Passione è commemorata dall'Eucarestia: tale sacramento, in cui il fedele si nutre del corpo e del sangue di Cristo, è il memoriale della Passione. Ma cosa ha a vedere tutto questo con il particolare del gran di spelta? In realtà, la corretta celebrazione dell'Eucarestia prevede che il pane, "specie sacramentale" del corpo di Cristo, sia di frumento. L'Aquinate precisa che se il pane fosse di orzo, o di spelta, il sacramento sarebbe invalido: "... ciò non accade nel caso dell'orzo, della spelta e neppure del farro, che di tutti è il più simile al grano di frumento (tritici). La somiglianza di figura in tali piante sta a rappresentare la vicinanza più che l'identità di specie, come dalla somiglianza di figura risulta che cane e lupo sono di specie vicine tra loro, ma non sono della stessa specie. Perciò con tali grani, che in nessun modo possono essere generati dal seme di frumento, non si può fare un pane che sia la materia richiesta per questo sacramento (Unde ex talibus frumentis, quae nullo modo possunt ex semine grani generari, non potest confici panis qui sit debita materia huius sacramenti)" (Summa Theol. III, q. 74, a. 3). Ecco allora che la presenza del gran di spelta non sembra casuale: essa ci fa pensare alla degenerazione dell'Eucarestia. E se quest'ultima ricorda la Passione, di cui il suicidio è l'antitesi, si rafforza in conseguenza l'idea che l'anima-pianta, sorta dalla spelta, costituisca il memoriale parodico e degradato della Passione. Il pane, nel rito sacramentale, perde la propria "sostanza", pur conservando le caratteristiche esteriori di pane: "... in questo sacramento gli accidenti rimangono senza soggetto. E la cosa è possibile per virtù divina. Infatti, dipendendo l'effetto dalla causa prima più ancora che dalla causa seconda, Dio, causa prima della sostanza e dell'accidente, con la sua infinita virtù può conservare in essere l'accidente anche quando sia venuta meno la sostanza, la quale lo conserva in essere in qualità di causa propria" (Summa Theol. III, q. 77, a. 1). Analogamente il pruno, esteriormente essere vegetale, perde in realtà la propria sostanza giacché diviene, per "virtù divina", il "corpo" di un altro essere, mostruosamente abnorme come miracolosamente abnorme è la transustanziazione. Il pruno ha rami con spine velenose (Inf. XIII.6), al contrario delle specie sacramentali: "Accostati sicuro: è pane, non veleno" (S. Agostino, In Io. Ev. 26). Le foglie dello strano albero sono il nutrimento delle Arpie (Inf. XIII.101), di cui il poeta ricorda, ad inizio canto, l'abitudine per l'appunto di insozzare (profanare) le mense.

La presenza dell'Eucarestia come arrière-pensée è confermata dal fatto che, dal ramo spezzato del pruno, sgorga sangue (Inf. XIII.34). Come scrive S. Tommaso, "... la passione di Cristo avvenne con la separazione del sangue dal corpo. Perciò in questo sacramento, che è il memoriale della passione del Signore, si assumono separatamente il pane come sacramento del corpo e il vino come sacramento del sangue" (Summa Theol. III, q. 74, a. 1). Dal vino si risale ovviamente al nome "della Vigna" (sulla cui valenza ironica cfr. R.H. Lansing, "Dante's Concept of Violence and the Chain of Being": Dante Studies, 1981, p. 75), che dunque rappresenta la degenerazione della vigna piantata da Dio: "Ergo te plantavi vineam meam electam, omne semen verum; quomodo conversa es in amaritudinem?" (Ier. 2.21). Il legno su cui giura il dannato (Inf. XIII.73) è opposto al "lignum" del supremo sacrificio: infatti "primus homo peccavit in ligno, ideo Dominus in ligno pati voluit: Benedictum lignum, per quod fit iustitia (Sap. 14.7)" (S. Tommaso, Super Matthaeum 27.35, n. 2362). E la vigna di Dio raffigura la giustizia (S. Tommaso, Super Matthaeum 21.28, n. 1727), ignorata e manipolata da Piero (Inf. XIII.72). Questi è così figura direttamente antitetica a quella del Salvatore, anch'egli 'suicida': ed infatti il Signore si è paragonato da un lato al chicco di frumento (Io. 12.24), da un altro alla "vera vite" (Io. 15.1). Come chicco di frumento, Gesù Cristo morì, fu sepolto e poi risorse per far sorgere e dilatare la sua Chiesa, l'albero della salvezza.