Romano Manescalchi
Independent Scholar
15 August 2006


"La luna, quasi a mezza notte, tarda" (Purg. 18.76)

È un passo controverso che non ha trovato sino ad ora una spiegazione veramente soddisfacente.

Una prima interpretazione riferisce «tarda» a «luna» e coloro che la seguono intendono «la luna che aveva tardato (tarda) a mostrarsi sin verso la mezzanotte» (Casini-Barbi). Analogamente Scartazzini, Torraca, Steiner, Grabher, Porena, Montanari, Sapegno, ecc., i più, tra cui Jacomuzzi, che fa una strana variazione:[1] «tarda: in ritardo rispetto alla sera precedente». La luna sorge sempre in ritardo rispetto alla sera precedente!

Tra i commentatori antichi l’idea che si alluda al «sorger» della luna compare chiaramente per la prima volta in Benvenuto: « . . . et oriebatur luminosa et splendens circa mediam noctem». Così intende anche Buti, che dà però un altro orario, per noi più appropriato―«il suo orto era quasi al terzo della notte»―seguono Landino, Vellutello, Daniello, Venturi, Lombardi, Cesari, Andreoli. Non fanno cenno al «sorgere» della luna Lana, Ottimo, Anonimo. È incerta la posizione di Pietro di Dante.

Altri osserva che nel passo non si parla del «sorger» della luna. Così fa Bosco-Reggio: «In realtà in questi versi Dante non ha detto affatto che la luna sorgesse». Così anche Hollander, che, rifacendosi a Moore e Singleton, sostiene «the notion that there is no reference here to moonrise.» Concordiamo. Proseguendo Bosco-Reggio interpreta così: «Ha detto che era quasi mezzanotte passata (tarda va riferito a mezza notte, non a luna, come si dice “sera tarda,” ecc.) e la luna . . . ». Con Bosco-Reggio si allinea Garavelli-Corti.[2] Non siamo più d’accordo. Ma era «quasi mezzanotte» o era «mezzanotte passata»? Di fatto dire a mezza notte tarda per “oltre la mezza notte” è forma inesistente: ed il «quasi» la rende contraddittoria addirittura.

Noi abbiamo messo una virgola dopo mezza notte, per riportare decisamente il tarda a luna e non a mezza notte: «La luna, quasi a mezza notte, tarda»; senza forzare visto che altri riportava tarda a luna, anche senza la virgola. Non può esserci dunque problema (e così punteggia inoltre anche il Torraca). Ma la novità che proponiamo è quella di dare a «tarda» il suo significato più abituale, ovvero «lenta». Esiste, ed anche in Dante, il senso di «tardivo» o «in ritardo»: vedi Inf. 27.22; Purg. 16.122; 19.106; Par. 17.75; 22.17; 26.13, ecc. Il senso di «lentezza» è comunque prevalente ed è espressamente riferito alla luna a Par. 3.51: «beata sono in la spera più tarda».

Come dunque intendiamo il passo? Così: «Era ormai quasi mezzanotte, e la luna (alta nel cielo), movendosi “lenta,” pigra, faceva . . . ».

Teniamo presente due dati sicuri. Siamo verso la mezzanotte, perché è Dante a dircelo. Il secondo dato è che la luna, che era nel plenilunio il giorno dell’inizio del viaggio, nella notte tra giovedì e venerdì―per cui si veda Inf. 20.128 («e già iernotte fu la luna tonda»)―sorgeva cioè alle sei pomeridiane, ora, la notte tra lunedì e martedì sorge verso le dieci. Ed a mezzanotte sarebbe alta nel cielo di circa 30 gradi, due ore.

Dante la vede «lenta». Questa «lentezza» ha due motivi. Il primo lo abbiamo già detto: la luna gira con il cielo che la porta, il cielo della luna, il più basso, che è anche il più lento dei nove. Quando Dante guarda il cielo non dimentica mai le sue nozioni astronomiche.

Inoltre, quando gli astri raggiungono il centro del cielo sembrano «rallentare»: «con più lenti passi / teneva il sole il cerchio di merigge» (Pg xxxiii103-104) e «inver’ la plaga / sotto la quale il sol mostra men fretta»(Par. 23.11-12). Così tutti gli astri. Il motivo è questo: quando sorgono (stessa cosa quando tramontano) noi possiamo apprezzare il loro movimento sulla linea dell’orizzonte. Ma quando dalla linea dell’orizzonte sono lontani non abbiamo un punto di riferimento che faccia valutare lo spostamento e quindi appaiono rallentare: tanto più quanto dalla linea dell’orizzonte sono lontani: « . . . rassembra più lento nel suo moversi; e ciò per trovarsi allora, rapporto agli occhi nostri, nella maggior lontananza da obbietti terrestri, dallo scostamento dai quali si comprende moversi» (Lombardi, comm., Purg. 33.103-4); «La maggior distanza del sole dal piano della terra, togliendo agli occhi il ragguaglio del moto, lo fa parere più lento nel meridiano» (Cesari, comm., ibidem).

Un altro motivo sono le ombre. Queste, lunghissime quando il sole si leva, vanno rapidamente accorciandosi man mano che si alza, per rimanere pressoché statiche tra le undici e le tredici, quando l’occhio non apprezza più il leggero ridursi di esse tra le undici e mezzogiorno ed il minimo loro riallungarsi tra mezzogiorno e le tredici. La staticità delle ombre a mezza giornata favorisce ancora l’idea di una qual certa staticità del sole stesso, come se, affaticato, rallentasse nell’ultima parte dell’ascesa, per poi riprendere lena ed aumentare gradatamente la velocità, fino a dar l’idea di un suo precipitare sull’orizzonte: «quid tantum Oceano properent se tinguere soles / hiberni» (Aen. 1.745-46). In Dante abbiamo «Ma vedi già come dichina il giorno» (Purg. 7.43). Ed infatti verso sera il giorno, ovvero il sole, viene apprezzato nel suo declinare anche ad occhio nudo. Così avvertono avvenire alcuni commentatori commentando sempre Purg. 33.103-4: « . . . perché, quando è a mezzo dì, par che più tardo camini di quando leva o cade, conciosia che nel nascere e nel tramontare di quello molta variazione e mutazione fanno le ombre, il che quando egli è a mezzogiorno non avviene» (Daniello); «per il poco variare dell’ombre pare a noi ch’egli cammini più lento» (Andreoli). E così dicono i commentatori commentando Par. 23.11-12, cit.: «in la parte meridiana, dove lo sole non mostra movemento in li instrumenti d’astrologia» (Lana); «E ciò dice non perché “il sole” non vada sempre più piano, che sempre procede ad un modo medesimo pel suo cammino, ma perché giunto al meridiano, par che vada più lentamente, il che dal crescere e discrescere dell’ombre si puote agevolmente vedere, e però dice “che mostra men fretta”» (Daniello). E così altri.

Tutto ciò viene rafforzato da un’altra precisa indicazione del poeta che al verso 79 ci dice che la luna «correa contra al ciel». Cosa vuol dire?

Come sappiamo, osservando la luna in rapporto a due stelle, una ad occidente ed una ad oriente, quella ad oriente si avvicina sempre di più, quella ad occidente sempre di più si allontana con velocità tale che il movimento è apprezzabile dai nostri occhi già nel giro di qualche ora ed è di assoluta evidenza la notte successiva. Questo fatto fa dire a Dante che la luna «corre» ovvero, qui, «si muove», in direzione opposta a quella del cielo.[3] Ed è ovvio che questo «correre contro al ciel» da parte della luna si traduca in una sensazione di «lentezza» della luna stessa in confronto alle stelle, rispetto alle quali rimane progressivamente indietro. Ciò giustifica l’aggettivo «tarda». Il verbo «correa», che si oppone a «tarda» nel senso di «lenta», può aver portato fuori strada: se «correa» non poteva essere «tarda» o “lenta,” mentre Dante la vede “lenta” proprio perché “corre,” sempre, contro il corso del cielo. È questo forse che ha portato ad intendere «tarda» nel senso erroneo di “sorta tardi,” cui il testo non dà appiglio e che è dettaglio inutile.

Leggiamo ora tutto il passo con la nostra interpretazione: «La luna, era ormai quasi mezza notte, muovendosi “lenta,” faceva apparire a noi più rade le stelle . . . ».[4]

Nella mente di Dante si fondono l’impressione della luna come immobile nel cielo e le sue cognizioni astronomiche che la vogliono «più tarda», più lenta, degli altri astri. E per intendere così, risolvendo tutte le questioni, basta spostare una virgola: «La luna, quasi a mezzanotte, tarda»: «tarda» cioè “lenta,” “placida,” “tranquilla.”


[1] D. Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, ed. S. Jacomuzzi et alii (Turin: SEI, 1999).

[2] D. Alighieri, La Commedia, Purgatorio, ed. B. Garavelli and M. Corti (Milan: Bompiani, 1993).

[3] La stessa sensazione è descritta ad Inf. 31.136-138 a proposito della Garisenda.

[4] Così invero fa sempre, ma di più quando è al centro del cielo e più sembra splendere o meglio illuminare tutto il cielo stesso.