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Le anime del Purgatorio
sono già state giustificate, perciò posseggono le virtù
infuse, in primo luogo la carità; tuttavia devono ottenere il risanamento
(gratia sanans) perfetto, per godere del pieno autocontrollo razionale
ed essere veramente innocenti. Ciò vuol dire che il possesso delle
virtù deve essere perfezionato, in modo che l'anima segua spontaneamente
e docilmente l'ispirazione dello Spirito Santo. La capacità di
assecondare completamente l'ispirazione divina si ha, nella dottrina tomista,
grazie all'infusione dei doni dello Spirito Santo (Isaia 11:2-3): essi
presuppongono l'infusione delle virtù teologali, le quali sono
le loro "radici", per cui i doni sono "derivazioni"
di tali virtù (S. Tommaso, Summa Theologiae [ST]
I-II.68.2-4). Quindi i doni sono dipendenti dalle virtù teologali,
ma le completano e le perfezionano: l'anima in possesso dei doni può
veramente dirsi "amica di Dio", essendo rivolta decisamente
(nel caso degli spiriti del Purgatorio, definitivamente) al fine sovrannaturale.
Cerchiamo di vedere se la creazione poetica dantesca, che considera il
processo espiatorio sulle cornici finalizzato alla conquista perfetta
delle virtù, contempli anche la presenza dei doni dello Spirito
Santo, i quali nella teologia medievale avevano notevole importanza.
È noto che, ogni volta che il pellegrino sta per lasciare una
cornice, l'angelo guardiano della cornice intona una particolare "beatitudine".
Per la precisione, al passaggio di Dante risuonano sei beatitudini evangeliche:
non vengono infatti nominate né l'ottava, tradizionalmente considerata
come implicita nelle precedenti (ST I-II.69.3), né la seconda
("Beati i miti"), associata da S. Agostino, nel commento al
"discorso della montagna" (DM I.55), a "Beati i
misericordiosi"; invece la quarta ("Beati coloro che hanno fame
e sete di giustizia") viene pronunciata, divisa in due parti, dall'angelo
del quinto girone e da quello del sesto girone. Come sostiene con vigore
A.M. Chiavacci Leonardi, la presenza delle beatitudini non può
essere ritenuta un mero "abbellimento": le beatitudini pronunciate
nel discorso della montagna costituiscono "il manifesto, se così
si può dire, del mondo cristiano di fronte all'antico", per
cui "sono la vera ossatura portante del secondo regno dantesco"
("Le beatitudini e la struttura poetica del Purgatorio", Giornale
storico della letteratura italiana, 1984, pp. 7, 9). Nel discorso
della montagna è riassunta -- come spesso affermano S. Agostino
e S. Tommaso -- la Legge Nuova, la legge dell'Amore, la quale viene realizzata
grazie all'ascesa del Purgatorio. Muovendosi sulle tracce di E. Moore
(Studies in Dante, Oxford, Clarendon Press, II, 1899, pp. 152-208;
246-68), la studiosa individua quali probabili fonti dantesche due opere
rispettivamente di Ugo e Riccardo di S. Vittore, teologi del sec. XII.
In tali opere si notano alcuni notevoli riscontri con il testo dantesco,
tuttavia ci pare più utile risalire direttamente a S. Agostino,
il cui approccio fu poi ripreso e rielaborato da S. Tommaso.
Bisogna subito porre in evidenza il fatto che Agostino in più
luoghi connette le beatitudini ai doni dello Spirito Santo, i quali, nell'ordine
"ascendente" da lui adottato, sono: timore di Dio, pietà,
scienza, fortezza, consiglio, intelletto e saggezza. Il collegamento fra
doni e beatitudini, spiegato dettagliatamente in DM I.11, si articola
nel modo seguente: il timore di Dio è associato a "Beati i
poveri di spirito" (cfr. Purg. XII.110), la pietà a "Beati
i miti", la scienza a "Beati quelli che piangono" (cfr.
Purg. XIX.50), la fortezza a "Beati quelli che hanno fame
e sete di giustizia" (cfr. Purg. XXIV.154; XXII.6), il consiglio
a "Beati i misericordiosi" (cfr. Purg. XV.38), l'intelletto
a "Beati i puri di cuore (cfr. Purg. XXVII.8), ed infine la
saggezza a "Beati i pacifici" (cfr. Purg. XVII.68-69).
Se ad ogni beatitudine corrisponde un dono dello Spirito Santo, è
presumibile che il canto di una beatitudine, per ogni cornice, corrisponda
all'infusione di un dono, che perfeziona il possesso di una virtù
infusa. Ed infatti S. Tommaso pone in collegamento ognuno dei doni con
ognuna delle virtù: così, al dono del timore corrisponde
la virtù della temperanza (e per un certo aspetto quella della
speranza: ST II-II.141.1), al dono del consiglio corrisponde la
virtù della prudenza, al dono della sapienza la carità,
alla pietà la giustizia, alla scienza la fede, all'intelletto ancora
la fede, mentre la fortezza-dono è associata alla fortezza-virtù.
Né per l'Aquinate le beatitudini sono semplici espressioni simboliche
della presenza così pervasiva dello Spirito Santo in un'anima:
esse invero sono per lui "le operazioni perfette delle virtù
e dei doni". Sembra così possibile comprendere il nesso sussistente
fra progresso delle anime espianti e canto delle beatitudini: il canto
accompagna per ognuna delle sette cornici l'infusione dei sette doni,
che presuppongono e perfezionano le sette virtù già infuse
nell'anima al momento della giustificazione. Il legame che il poeta stabilisce
fra progresso nel possesso delle virtù e processo purgativo è
riscontrabile in Agostino (DM II.87), per il quale le beatitudini
sono sette modi di purificazione che tolgono ogni scoria all'argento,
in relazione al detto del Salmista: "La parola del Signore è
casta, è come l'argento provato al fuoco, provato al crogiolo,
per sette volte purgato" (11:6-7). In questo modo i doni (connessi
alle beatitudini) sono posti in relazione con l'idea di purgazione. Inoltre
Dante mette in collegamento l'idea di purgazione con i vizi capitali,
un collegamento che egli, come segnalato da A. Morgan (Dante and the
Medieval Other World, Cambridge University Press, 1990, p. 132), poté
reperire presso manuali di confessione del XIII secolo. Ebbene, secondo
Agostino i sette vizi capitali sono contrari ai doni (Questioni evangeliche
I.8), per cui possiamo supporre che l'eliminazione sulle cornici dei vizi
(esteriormente, delle sette 'P' sulla fronte delle anime purganti, che
procedono nella liberazione dalle "scorie" del peccato, da quelle
reliquiae che permangono dopo la remissione del peccato come culpa {ma
si veda Hollander, Purg. IX, in EBDSA}) si associ alla infusione
dei doni. Sembra quindi lecito dedurre che il canto delle beatitudini
sulle varie cornici accompagna da un lato la cancellazione di un vizio
e, dall'altro, l'acquisizione in forma abituale di un dono, il che perfeziona
la corrispondente virtù infusa. Mettiamo ora alla prova questa
ipotesi esplicativa.
Poco prima che Dante lasci la quarta cornice (ove si espia il vizio
dell'accidia), l'angelo cancella dalla sua fronte la quarta 'P' cantando
la terza beatitudine, che esalta "coloro che piangono, perché
saranno consolati" (XIX.49-51). Ora, solitamente ai commentatori
la beatitudine non è parsa nella circostanza appropriata, in quanto
non è ben chiaro in quale rapporto essa possa trovarsi con l'accidia.
Talora si ricorre alla spiegazione, piuttosto generica, secondo la quale
viene esaltato il pianto di coloro che, al contrario degli accidiosi,
non evitano affanni e dolori per seguire i beni spirituali. Tuttavia sembra
possibile formulare, prendendo in considerazione il concetto di dono,
una spiegazione più soddisfacente. Sappiamo che la terza beatitudine
è connessa al dono della scienza, al quale "corrisponde prima
di tutto il pianto per gli errori del passato, quindi la consolazione
che viene dall'ordinare le creature al bene divino mediante il retto giudizio
della scienza" (ST II-II.9.4). Per Agostino tale dono "si
addice a coloro che piangono, perché dalla Scrittura hanno appreso
da quali mali siano avvinti e a quali cose tennero dietro ritenendole,
nella loro ignoranza, buone e vantaggiose" (DM I.11). Degli
uomini privi di tale scienza si legge, pone in evidenza l'Aquinate (Comm.
a Matteo, n. 424), che "vivono nella grande guerra dell'ignoranza
(inscientiae)" (Sap. 14:22); e "tutti i peccati che provengono
dall'ignoranza possono ridursi all'accidia" (ST I-II.84.4).
Siamo così giunti al punto cruciale: l'incompatibilità fra
dono della scienza e vizio dell'accidia pare costituire la base dottrinale
del segmento narrativo in cui il canto della terza beatitudine si accompagna
all'eliminazione della quarta 'P'.
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